S. Antonio Abate e S. Paolo eremita
Di Patrizia Solari
Voglio parlare di questi due santi insieme, perchè in un pellegrinaggio fatto ai monasteri copertine/copti) tra dicembre e gennaio scorso ho scopertine/coperto e riscopertine/coperto insieme questi due padri eremiti. E, tornata a casa, celebrando il 17 gennaio la festa di Sant’Antonio, patrono della mia parrocchia (la festa di san Paolo eremita cade il 15 dello stesso mese), sono stata resa attenta a una tela presente nella chiesa, che li raffigura proprio insieme, come del resto spesso si ritrovano nelle icone copertine/copte. Così, l’incontro con queste figure nella loro terra d’origine, il deserto d’Egitto, me li ha fatti poi riconoscere con uno spessore diverso, presenti tra di noi grazie alla devozione del popolo. È qui che sperimento ancora una volta la continuità della Chiesa e la presenza di Cristo come avvenimento, che vive nella storia tramite l’incontro tra le persone e la loro testimonianza.
Le origini del monachesimo orientale (2)
“L’Egitto è stato la culla del monachesimo cristiano. Esso non è nato ad Alessandria, la capitale, che parlava in greco e partecipava alla cultura greca, ma fra gli indigeni cristiani, di lingua copertine/copta, che vivevano in tutta la vasta regione irrigata dal Nilo, fra Assuan e la costa mediterranea. La nascita del monachesimo si colloca tra la fine del III e l’inizio del IV secolo. (...) Secondo alcuni studiosi il fenomeno monastico trasse origine dalla terribile persecuzione di Decio (250) quando moltissimi cristiani, costretti ad abbandonare i centri abitati, trovarono salvezza nel deserto. (...) Ma la circostanza storica della persecuzione è causa puramente occasionale e non determinante.
Ci sono, quindi, altre motivazioni di ordine storico che meritano di essere prese in considerazione. Tra il III e il IV secolo, quando il cristianesimo, con l’avvento di Costantino, ebbe il riconoscimento ufficiale di religione di stato, si diffuse sempre di più la consuetudine, del resto legittima, di privilegi ed onori alla gerarchia ecclesiastica e il pericolo della secolarizzazione della Chiesa fu avvertito in tutta la sua gravità da non poche anime. (...) E furono proprio queste anime che videro nella fuga dal mondo, nella vita appartata fatta di preghiera, di mortificazione e di rinunce il modo migliore per mettere in pratica l’insegnamento evangelico. Sembrava, in altre parole, che la solitudine potesse meglio consentire la totale accettazione della povertà e della castità, il disprezzo senza rimpianti per la ricchezza e il potere, la mortificazione della carne per una più grande elevazione dello spirito. Così al martirio rosso, rappresentato dal sangue dei martiri, subentrava il martirio bianco, espressione di più genuina purezza di cuore, speranza e fiducia, attraverso la raccolta contemplazione di Dio, per il raggiungimento della perfezione nell’incondizionata offerta di sé.” (3)
Vediamo allora le vite di questi due santi, come ci sono state tramandate nel tempo: per sant’Antonio, dalla Vita scritta da sant’Atanasio di Alessandria e per san Paolo, dalla Vita scritta da san Girolamo. (4)
San Paolo di Tebe, eremita ...
Paolo nasce nel 228, al tempo di Alessandro Severo. “Di famiglia molto ricca, poté ricevere una raffinata educazione e attendere agli studi e Girolamo scrive di lui che, appena adolescente, era in grado di muoversi a proprio agio nella cultura greca e in quella egiziana. Si imbatté però ben presto nella malvagità degli uomini, perché, durante la persecuzione di Decio, il cognato lo denunciò per venire in possesso delle sue ricchezze. Paolo si diede alla fuga, maturando, intanto, la decisione di lasciare il mondo per vivere in totale solitudine. La scelta poté ben presto essere realizzata, perché, giunto fuggendo nella Bassa Tebaide, si trovò di fronte a una spelonca che immetteva in un andirivieni di grotte scavate nella viva roccia, rifugio un tempo di falsari. Dopo la spelonca, una palma non visibile dall’esterno era lì per offrire i suoi datteri e, accanto, un breve corso d’acqua garantiva aiuto contro la sete. Paolo sentì che in quella solitudine avrebbe potuto trovare la più perfetta unione con Dio e decise di restarvi per sempre, ricevendo una soprannaturale conferma della scelta della sua vita, perché un corvo veniva a trovarlo ogni giorno, recando una razione di pane.
Dei novant’anni trascorsi in quella solitudine i testi tacciono, per dare invece risalto al prodigioso epilogo della giornata terrena di Paolo, che ricevette, ultracentenario, la visita di Antonio, condotto a lui dal volere divino, espresso in una serie continua di miracoli. Il santo abate poté, infatti, raggiungere la dimora di Paolo, a lui ignota, perché guidato da vari interventi miracolosi (...). Nella spelonca il corvo portò loro una doppia razione di pane5) e Paolo, presentendo, al termine delle sante conversazioni, prossima la fine, si fece promettere da Antonio di essere avvolto, per la sepoltura, nel mantello che questi aveva ricevuto da Atanasio. Rifacendo il viaggio verso il monastero per procurarsi il mantello, Antonio vide l’anima di Paolo salire al cielo fra lo splendore degli angeli e, tornato nella spelonca, non gli restò che avvolgerne il corpo e seppellirlo nella fossa che era stata scavata da due leoni.”
Nella Vita narrata da Girolamo “l’ininterrotta presenza del prodigio (ha la finalità) di imprimere nel lettore l’idea che tutto, nel santo eremita, portava il segno dell’assoluto e dell’intervento di Dio. Significativa (...) è anche la volontà di presentare Paolo come un eremita colto e di porre a confronto la sua scelta di distacco assoluto dagli uomini e dal mondo con quella di Antonio, padre e maestro di asceti, ma anche impegnato nelle vicende della storia e della Chiesa. (...) Motivo costante nell’iconografia è l’incontro di Paolo con Antonio e la sua sepoltura ad opera dei leoni. Altri dati iconografici rimandano ai particolari del racconto di Girolamo, come il libro, per indicare la cultura di Paolo e il corvo, da cui fu nutrito.”
...
e Sant’Antonio, abate
“Antonio nacque verso il 251 a Coma, la Keman
dei giorni nostri, una località centro-egiziana nei pressi del Nilo. (...)
i suoi genitori erano cristiani benestanti, di buon livello sociale. Probabilmente
crebbe in una comunitä copertine/copta. La sua istruzione
si arrestò al livello elementare dal momento che egli rifiutò l’educazione
superiore, ossia quella greca. (...) A circa diciotto anni, in seguito alla
morte dei genitori, rimase a prendersi cura della casa e della sorella minore.
Un giorno - meno di sei mesi dopo la loro scomparsa - assisté in chiesa alla lettura del passo del vangelo di Matteo (19, 21), in cui Gesù invita a distribuire ai poveri i beni terreni come condizione per una vita perfetta. Antonio, che stava già riflettendo sulla rinuncia a ogni ricchezza, secondo l’esempio degli Apostoli e dei cristiani di Gerusalemme, percepì questa lettura come un messaggio personale di Dio, la chiamata a una vita di povertà e di abnegazione. Diede quindi in elemosina ciò che possedeva, riservando soltanto una piccola somma al sostentamento della sorella. Avendo poi ancora ascoltato in chiesa l’esortazione a non preoccuparsi per il domani (Mt 6, 34), distribuì anche questa somma residua e affidò la sorella alle cure di alcune vergini affinché l’allevassero secondo il loro modello di vita. Egli stesso si mise a praticare la vita ascetica, prima di fronte a casa sua, poi in un luogo appena fuori dal suo villaggio, quindi ancora più lontano, in un sepolcro.
Quando ebbe circa trentacinque anni scelse come abitazione una fortezza deserta a est del Nilo.
Dopo
vent’anni si ritirò nel deserto, sul monte Pispir.
Infine, tormentato da un numero sempre crescente di visitatori, penetrò ancor
più nel deserto, facendo un viaggio di tre giorni verso est e stabilendosi
in una regione montana, non lontana dal Mar Rosso: la tradizione locale indica
il monastero di Deir-amba-Antonios
come il luogo della sua ultima residenza. A volte si recava sul monte Pispir per rimanere in contatto con i suoi discepoli e, se
necessario, per comunicare con il mondo esterno, ma faceva sempre ritorno
al suo amato eremo sulle montagne orientali, dove morì nel 356.”
DALLE
LETTERE DI ANTONIO
2. Credo che
alcuni hanno intrapreso il cammino con tutto il cuore e si sono disposti ad
affrontare le lotte del nemico fino a sconfiggerlo; lo Spirito Santo li chiama
in precedenza per rendere leggera la battaglia e dolci le fatiche della conversione
e impone loro una misura stabilita per la penizenza del corpo e dell’anima
fino a insegnare loro la via che porta a Dio creatore. E Dio fa violenza,
per così dire, all’anima e al corpo perché entrambi siano puri
e degni allo stesso modo di diventare eredi. (I Lettera)
3. Vi prego, fratelli, nel nome del nostro Signore Gesù Cristo, di
capire questo grandioso piano di salvezza; egli si è fatto “come noi,
escluso il peccato” (Eb 4, 15). Ogni intelletto razionale, per il quale il
Salvatore è venuto, deve comprendere come è stato plasmato,
conosce re se stesso, distinguere il benedal male, perché possa essere
liberato per la sua venuta. Infatti coloro che sono stati liberati, grazie
al suo disegno di salvezza, sono stati chiamati semi di Dio; questa non è
ancora la perfezione, ma soltanto la giustizia del momento che conduce all’adozione
filiale. (II Lettera)
4. Ma, miei cari nel Signore, il mio spirito è molto scosso e turbato.
Abbiamo l’abito e il nome dei santi, ce ne vantiamo di fronte ai non credenti,
ma temo che la parola di Paolo si riferisca proprio a noi: “Dichiariamo di
conoscere Dio, ma lo rinneghiamo con i fatti” (Tt 1, 16) (...) In verità,
figli, anche se impegneremo tutte le nostre forze per cercare Dio, non faremo
nulla di eccezionale; infatti cerchiamo la nostra mercede che ci appartiene
per natura. Ogni uomo che cerca Dio o lo serve, cerca secondo la sua natura.
(V Lettera)
DUE
ANIME CHE PARLANO
(...) Finché,
dal cuore del monte, gli arriva un sospetto di luce e Antonio si ritrova nell’alba
azzurra ad abbracciare un vecchio che non conosce, chiamandolo per nome: -
Paolo! - Antonio!
Avevano vissuto per quasi un secolo accanto, si erano cercati e ora si conoscevano.
Così i due vecchi, con le membra quasi di sabbia, siedono vicini e
lasciano che le loro anime si parlino. Hanno molto da dirsi, sotto la palma,
accanto alla fontana. Un corvo si posa su un ramo, poi lievemente vola e depone
tra loro un pane. È un pane grande, rotondo, bruno.
- Veramente benigno e cortese è Nostro Signore - dice Paolo - il quale
già sono settant’anni che per questo modo ogni giorno mi ha mandato
mezzo pane. Ma ora per la tua venuta ha per tuo amore duplicato la vivanda.
Adesso però Paolo vuole che sia Antonio a spezzare il pane, perché
ospite e pellegrino presso di lui.
- Tu, tu, che sei più antico e più santo - gli risponde invece
Antonio.
E così, tra gentilezza e umiltà, il sole sorge, sale il suo
culmine e tramonta, e i due vecchini sono sempre lì, col pane bruno
intatto in mezzo a loro. Solo alla sera dice Antonio: - Tu tira da una parte,
Paolo, che io tirerò dall’altra.
E Paolo, nel medesimo momento, aveva detto ad Antonio le medesime parole.
Così tirano con le loro deboli mani e il pane si divide esattamente
a metà. Poi si chinano alla fonte e tutti e due bevono un sorso d’acqua.
Allora dice Paolo:
- Io sono vicino alla morte, ormai, e vorrei essere seppellito da te, Antonio.
E Antonio comincia a piangere, perché aveva appena trovato un amico
e subito lo perdeva.
- Ti prego, Antonio, - dice dolcemente Paolo, - va’ alla tua cella e prendi
un manto molto bello, rosso, che hai: vorrei morire avvolto in quel manto.
Questo non lo dice per vanità, lui che s’era sempre accontentato di
abiti di palma, ma perché l’amico non soffra a vederlo morire. Così
Antonio si alza, esce dalla grotta e si mette a correre (...) con i capelli
e la barba al vento. Torna correndo col manto; ma Paolo è morto in
preghiera. Già la sabbia lo ricopertine/copre.
Ora Antonio è di nuovo un vecchino di novant’anni, non ha più
la forza, nemmeno di seppellire il suo grande amico. Gli ha solo messo addosso
l’inutile mantello e prega accanto a lui; sembrano uguali, vivi o morti tutti
e due.
Due altri esseri immobili li fissano da lontano: due enormi leoni. Piangono
la morte di Paolo dai loro occhi tondi, poi sempre piangendo si avvicinano.
Con le forti unghie si mettono a raspare il terreno e fanno una fossa diritta,
a forma e misura d’uomo. Di tanto in tanto vanno a leccare le mani e i piedi
di Antonio per consolarlo: presto San Paolo Eremita farà parte del
grande deserto, avvolto nel suo mantello, rosso come la sabbia delle dune.
(raccontato da Donatella Ziliotto in “E il leone sorrise - incontri di
Santi e di animali” - Ed. Paoline, 1981)
1) Il termine “copertine/copto” deriva originariamente dalla parola araba Quibt, che a sua volta è una semplice forma abbreviata della
parola greca Aigyptios, egiziano, dalla quale sono caduti il dittongo iniziale e il suffisso ios. Esaustive notizie storiche, religiose e d’arte in CAPUANI,
M. - Egitto copertine/copto - Jaca
Book, 1999
2)
Da ATANASIO - Vita di Antonio con le Lettere e la Regola, a cura di Salvatore
Di Meglio - Fabbri editori, 1997
3) Ibid. Introduzione, pp. 5ss
4) Notizie tratte da AAVV - Il grande libro dei Santi
- ed. San Paolo, 1998. Per sant’Antonio: vol. I,
pp. 176-182; per san Paolo di Tebe: vol.
III, pp. 1585-1586
5) Il monaco che ci ha accompagnati nella visita del monastero di san Paolo (Pola) ci ha dato questa versione dell’incontro tra i due eremiti:
“Paolo, dalla sua caverna, vide venire da lontano una figura e chiese al Signore
di fargli capire se doveva temere un attacco del demonio o se si trattava
di una visita amichevole. Il corvo che ogni giorno portava a Paolo mezza pagnotta,
quel giorno glie ne portò una intera e questo fu
il segno che il Signore mandò a Paolo per rassicurarlo che la visita era quella
di un amico con il quale condividere il suo frugale pasto.